Pubblicato il 17-12-2015

ALLO STOP NON BASTA FERMARSI

decreto legislativo 30/04/1992 n. 285 art. 145.

Massima

 Quando le condizioni di visibilità non sono ottimali, il conducente, oltre ad arrestarsi al segnale di STOP, ha altresì l'obbligo di impegnare l'incrocio con prudenza, fino a procedere con una cautela massima.

 

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. PENALE IV - 23 NOVEMBRE 2015, N. 46408

Presidente: Romis - Relatore: Pezzella - Parti: A. A. - Corte appello di Trieste

 

SENTENZA CORTE CASSAZIONE

23 novembre 2015, n. 46408

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUARTA SEZIONE PENALE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Presidente:

Vincenzo ROMIS

Consigliere:

Francesco Maria CIAMPI, Andrea MONTAGNI, Giuseppe PAVICH

Rel. Consigliere:

Vincenzo PEZZELLA

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 

Ritenuto in fatto

  1. 1. La Corte di Appello di Trieste, con sentenza n. 977/2014 del 18 giugno 2014, in riforma della sentenza del Tribunale di Udine del 29 ottobre 2012 (che aveva assolto l'imputato per non aver commesso il fatto) appellata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Udine e dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Trieste, dichiarava A. A. colpevole del reato a lui ascritto e, concessegli le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, lo condannava alla pena di anni uno di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali del primo e secondo grado di giudizio. Pena sospesa e non menzione, con sospensione della patente di guida per anni uno e mesi sei.

 L'imputato era chiamato a rispondere del reato p. e p. dall'art. 589, commi 1° e 2°, c.p. per avere, circolando su strada pubblica in centro abitato, alla guida dell'autovettura KKK tg xx000yy, omesso, per imprudenza o disattenzione, e violazione di legge (art. 145 C. d. S.), di concedere, in sede di intersezione "stoppata", la obbligatoria precedenza al motociclista B. B., che, a velocità superiore all'imposto limite dei 50 Km/h o, comunque, a velocità non prudenziale stante lo stato dei luoghi (strada curvilinea in centro abitato), proveniva da sinistra ma su strada prioritaria, con la conseguenza di determinare violenta collisione tra la fiancata laterale anteriore sinistra della suddetta autovettura ed il corpo del B. B. in scivolamento sul motociclo, con esiti mortali per lo stesso motociclista. In Mortegliano del Friuli (UD), il 15 giugno 2007.

  1. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, A. A., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:

ERRONEA APPLICAZIONE DELL'ART. 533 C.P.P. CON RIFERIMENTO ALL'ART. 606 LETT. B) CPP; ILLOGICITÀ MANIFESTA E CONTRADDITTORIETÀ DELLA MOTIVAZIONE CON RIFERIMENTO ALL'ART. 606 LETT. E) C.P.P.

 Secondo il ricorrente la Corte d'Appello ha, di fatto, stravolto le valutazioni del G.I.P. del Tribunale di Udine, che aveva dichiarato non luogo a procedere nei confronti dell'imputato all'esito dell'udienza preliminare e del Giudice Monocratico del Tribunale di Udine dott.ssa C. C., che aveva assolto l'imputato, giungendo ad una conclusione in fatto del tutto errata e priva di alcun riscontro probatorio, con riguardo all'asserita violazione da parte dell'imputato dell'obbligo di dare la precedenza.

 

La Corte territoriale sarebbe partita da una ricostruzione dei fatti errata e non corrispondente alle risultanze processuali.

 Si evidenzia che, nella parte in "Fatto e diritto", al n. 1, la Corte territoriale ha asserito che: - ". e collideva con l'auto condotta dall'imputato, pressoché ferma al centro della carreggiata in posizione diagonale."

 L'auto di A. A. si trovava effettivamente in posizione diagonale rispetto al senso di marcia del B. B. - ci si duole - ma non era posizionata al centro della carreggiata, tant'è che dallo schizzo planimetrico redatto dalla Polizia si vede come la macchina fosse ferma con la quasi totalità della sagoma nella corsia di marcia opposta a quella da dove stava sopraggiungendo il motociclo.

 Si contesta essere illogica anche l'affermazione contenuta in motivazione, secondo cui "il Tribunale riteneva fuori di dubbio che l'imputato avesse violato l'obbligo di dare la precedenza, tuttavia aveva anche considerato come non fosse agevole dare la precedenza".

 In realtà, si evidenzia in ricorso che il Tribunale di Udine ha ritenuto fuori di dubbio che "A. A., provenendo da via Cortisutz, avesse l'obbligo di arrestarsi al segnale di STOP e dare la precedenza a B. B. che stava percorrendo la via principale ." evidenziando nel proseguo del ragionamento che il perito del PM aveva contemplato l'ipotesi dell'arresto della vettura allo STOP, rilevando che in questo caso al momento della ripartenza la moto si trovava per 12 metri fuori dal campo visivo del A. A. L'ipotesi dell'arresto e della ripartenza - si prosegue - è stata ritenuta dal perito verosimile e compatibile con i suoi calcoli.

 

La prova che l'imputato si sia arrestato allo STOP - sostiene il ricorrente- è stata fornita dal teste D. D., presente, ai fatti.

 Si contesta poi come non vera l'affermazione operata dalla Corte territoriale secondo cui "pur non potendo stabilire con certezza se l'imputato si fosse fermato allo STOP o avesse impegnato l'incrocio senza arrestarsi era certo che egli percepito il pericolo si era arrestato in mezzo alla strada."

 Circa il fatto che l'imputato si fosse arrestato allo STOP, secondo il ricorrente è stata fornita ampia prova, così come del fatto che, una volta percepito il pericolo, lo stesso non si sia arrestato al centro della strada.

 Il ricorrente lamenta che le poche righe spese dalla Corte d'Appello per affermare la penale responsabilità del A. A. non tengono assolutamente in considerazione quanto emerso nel processo che è ben diverso da quello che viene "presunto".

 Innanzitutto, la Corte avrebbe dato per scontata la circostanza secondo cui il A. A. avrebbe dovuto accorgersi (e non si comprende sulla base di quale elemento obbiettivo) che lo specchio parabolico era mal orientato. Lo specchio non era stato, infatti, né danneggiato né tantomeno manomesso. Di quelle dimensioni era stato progettato ed acquistato dalla Pubblica Amministrazione e con quella angolatura era stato montato dal personale della P.A.

 L'automobilista A. A., che si trovava ad affrontare quell'incrocio, dopo aver guardato a destra e sinistra, prudentemente - si sostiene in ricorso - ha guardato anche lo specchio parabolico.

 Ritenere che l'automobilista, senza alcun elemento che potesse indurlo quantomeno ad un "dubbio", debba essere in grado di valutare a priori, ed in astratto, se quello specchio sia il più confacente a permettere la maggior profondità di visuale possibile, non a pochi metri ovvero dietro un angolo cieco, bensì oltre 42 metri di visuale libera, pare per il ricorrente principio assolutamente non condivisibile. Ciò in quanto il compito di valutare dimensioni dello specchio, altezza del palo, ed angolatura dello stesso non è certo dell'automobilista, ma della Pubblica Amministrazione che ha in gestione quello specifico tratto di strada, e nei confronti della quale sussiste un principio di affidamento. Nel caso di specie, poi, lo specchio non era orientato in modo tale da non svolgere la sua funzione ma aveva un grado di orientamento tale da non sfruttare, forse, tutta la sua potenzialità.

 Ancor più complessa dunque, nel caso di specie, era per il ricorrente la valutazione che la Corte d'Appello vorrebbe porre in capo all'automobilista, il quale, senza motivo alcuno, avrebbe dovuto scendere dalla macchina, lasciata allo stop, per provare a spostare di pochi gradi lo specchio parabolico, alzarlo o abbassarlo di pochi centimetri, verificando se la posizione originale era quella che garantiva la miglior visuale. Certi che non possa essere questa una imprudenza contestabile al A. A., la Corte avrebbe dovuto anche interrogarsi in merito a quanti metri o decimetri o centimetri di maggior visuale si sarebbero potuti guadagnare con un miglior posizionamento dello specchio. Invero, il ricorrente rileva che nessuno lo dice e non è dato saperlo. E non sarebbe dato sapere se, con uno specchio diversamente orientato, il motociclista che si trovava a 54 metri dal A. A., al momento della sua ripartenza, sarebbe stato o meno a lui visibile.

 Il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia dato per provata la grave imprudenza del A. A. che sarebbe partito dallo STOP senza tenere in considerazione della mancanza di "una visibilità profonda della strada (a causa del non corretto orientamento dello specchio parabolico)"

 Ma che lo specchio, diversamente orientato, non potesse comunque permettere al A. A. di vedere il B. B. - secondo la tesi sostenuta in ricorso - ce lo dice indirettamente proprio il CTP del PM, che all'udienza del 30.01 .2012 (pg. 13 trascrizioni) ha dichiarato che: "allora, innanzitutto gli specchietti parabolici, soprattutto quelli circolari, hanno una capacità di aumentare la visibilità molto, ma molto limitata, nel senso che o sono molto grandi e vicini oppure se sono piccoli e lontani è molto aleatorio il tutto ..."

 Il ricorrente evidenzia perciò che, quando A. A. è partito, non ha violato l'obbligo di dare la precedenza in quanto non vi era nessuno mezzo a cui dare la precedenza, salvo pensare che da quell'incrocio A. A. non avrebbe mai dovuto partire.

 Dopo 0,77 secondi, quando l'autovettura aveva già percorso 60 cm, secondo i calcoli del perito, B. B. e entrato nel campo visivo di A. A. A questo punto la Corte d'Appello ha asserito, condividendo la tesi del Procuratore Generale, che A. A. avrebbe dovuto accelerare e non fermarsi. A ben vedere, però, secondo il ricorrente, A. A., sempre secondo la ricostruzione del perito del PM, ha percorso altri 5 metri e 40 centimetri, impiegando circa 1,4 secondi, e trovandosi quindi a 6 metri dalla linea di STOP, quando ha iniziato ad azionare la frenata d'emergenza.

 Così facendo l'imputato, secondo quanto si sostiene in ricorso, in ossequio proprio a quanto suggerito dal Procuratore Generale e dalla Corte d'Appello di Trieste, ha liberato gran parte della corsia di pertinenza della moto che avrebbe quindi potuto tranquillamente sfilarlo rimanendo sulla propria semicarreggiata.

 L'atto introduttivo prosegue facendo rilevare che, dalla foto 8 della perizia si nota come in quel tratto di strada sia riuscita a passare nella semicarreggiata di pertinenza di B. B., dietro all'auto ferma del A. A., perfino una corriera. Figuriamoci quindi se una moto non sarebbe passata senza alcuno sforzo. Purtroppo, però, accade l'imprevisto. Il motociclista che non solo non teneva una velocità al di sotto del limite consentito, ma cosa ancora più grave, non idonea alle condizioni di strada (usciva da una curva in centro abitato), e alle sue capacità di guida del mezzo, tali da non costituire pericolo per, gli altri, in caso di imprevisto, ha perso il controllo della moto. Dopo una prima frenata di 7 metri B. B. è caduto, perdendo il controllo della moto, nonostante una velocità di 57 km/h, ed insieme alla moto è scivolato per 8,90 metri (1,50+7,40) invadendo la corsia di marcia del A. A. ed andando ad impattare contro la ruota anteriore sinistra.

 Il A. A., dunque, una volta resosi conto che il motociclista, anziché continuare sulla propria corsia, aveva assunto una traiettoria che lo stava conducendo ad invadere la corsia opposta, cioè quella che la vettura stava regolarmente impegnando, ha azionato una frenata d'emergenza onde evitare di travolgere con il frontale della macchina il B. B., nel tentativo, dunque, di ridurre la violenza dell'impatto.

 Che il motociclista stesse procedendo, molto probabilmente, a velocità più elevata è comprovato secondo il ricorrente non solo dalla perdita di controllo immediata del mezzo, ma anche dai danni causati alla vettura, come risulta dai rilievi della Polizia stradale "autovettura KKK tg xx000yy di colore grigio metal., di cm 1998, immatricolata nell'anno 2004, riportava i seguenti danni: pneumatico anteriore sinistro afflosciato, sospensione anteriore sinistra retrocessa, parafango anteriore sinistro introflesso, portiera anteriore sinistra introflessa, fendinebbia anteriore sinistro rotto, gruppo ottico anteriore sinistro fuoriuscito dalla sede"

 L'impatto violento con la ruota anteriore sinistra dell'autovettura avrebbe poi creato quel minimo sobbalzo//spostamento dell'anteriore della stessa che ha tratto in inganno la Corte d'Appello nel momento in cui ha ritenuto che la macchina, in posizione statica, fosse posizionata lungo una diagonale che avrebbe reso impossibile lo stesso completamento della manovra di svolta a sinistra, desumendo che il A. A. ha violato l'obbligo di dare la precedenza.

 La posizione, inoltre, sarebbe stata influenzata, oltre che dal violento colpo ricevuto, anche dalla brusca ed energica frenata azionata dall'imputato nel momento in cui si è accorto che il motociclista stava invadendo il suo senso di marcia, tale da arrestare l'auto in appena 1,5 metri (come rilevato dal perito del PM a pg. 14 della sua relazione). Un'azione così poderosa sull'impianto frenante ha presumibilmente raddrizzato il senso di marcia del veicolo lasciando dei segni di scarrocciamento sul manto stradale, poi misurati dal perito.

 Con riferimento a tale ultima circostanza il ricorrente afferma di utilizzare lo stesso strumento di ragionamento utilizzato dalla Corte, cioè la presunzione, per spiegare quella posizione che ha indotto i giudici dell'appello a ritenere violato l'obbligo di precedenza; posizione che invece è frutto di eventi diversi e distinti che nulla aggiungono o tolgono alla dinamica del sinistro.

 Da ultimo il ricorrente contesta anche la considerazione secondo cui la velocità del motociclo costituisca solo causa concorrente ma non esclusiva del sinistro pare scollegata dalle risultanze istruttorie.

 Ciò in quanto il perito avrebbe asserito che, comunque, anche a quella velocità il motociclista avrebbe potuto arrestarsi prima di impattare l'autovettura.

 La causa del sinistro, preso atto ad avviso del ricorrente che non vi è stata una omessa precedenza al momento della partenza dallo STOP, sarebbe da ricercarsi esclusivamente nella perdita di controllo del mezzo e nella caduta a terra.

 Si sostiene che, visto che A. A. si trovava a 42 metri da B. B., se quest'ultimo avesse tenuto una velocità consona al tratto stradale e alle sue capacità di guida, di certo non sarebbe caduto a terra, e avrebbe potuto optare per:

a) fermarsi prima dell'impatto;

b) sfilare l'auto di A. A. mantenendosi sulla sua semicarreggiata. Nessun rimprovero potrebbe, dunque, essere mosso al A. A., che non solo non avrebbe violato alcuna norma del CDS, ma avrebbe posto in essere, una volta visto il B. B., tutte le manovre utili prima per liberare la corsia di marcia, quindi per fermarsi, per evitare di aggravare le conseguenze dell'urto che sì stava configurando a causa della caduta del motociclista.

 

Come giustamente aveva rilevato il GIP, conclude il ricorrente, il punto d'impatto dei due veicoli può voler dire due cose:

1) o che il motociclista, anziché spostarsi sulla sua destra per evitare l'impatto, ha cercato di schivare la vettura cercando di anticiparne l'accesso sulla sua sinistra;

2) oppure che l'urto sia la risultante di un movimento di rotazione e/o giravolta della moto che deriva dall'esecuzione di una frenata brusca. Sarebbe evidente che ambo le situazioni presuppongono una velocità assolutamente spropositata alle condizioni del luogo.

 Tutto quanto premesso e ritenuto chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata, pronunciando declaratoria di assoluzione con la formula "perché il fatto non, costituisce reato".

 

Considerato in diritto

 

  1. 1. I motivi sopra ampiamente illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso, va rigettato.
  2. 2. Dalla lettura delle doglianze proposte si evince chiaramente che, ancorché le stesse siano rubricate, alternativamente, quale erronea applicazione di legge o vizio motivazionale, in realtà sottendano la richiesta a questa Corte di un riesame del compendio probatorio, che, evidentemente, in questa sede è inibita.

 Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi questa sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 e n. 23528 del 6.6.2006).

 Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del 24.11.1999, Spina, rv. 214794). Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile:

a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;

b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (sez. 2, n. 21644 del 13.2.2013, Badagliacca e altri, rv. 255542).

 Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.

 Non c'è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla luce del vigente testo dell'art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. come modificato dalla l. 20.2.2006 n. 46.

 Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.

 Com'è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la sentenza deve essere logica "rispetto a sé stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo", purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.

  1. 3. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d'Appello di Trieste alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.

 I giudici del gravame di merito con motivazione specifica, coerente e logica, oltreché corretta in punto di diritto - e perciò immune dai denunciati vizi di legittimità - danno conto dell'ininfluenza dell'essersi o meno l'imputato fermato al segnale di STOP (circostanza che pure il giudice di primo grado aveva ammesso non essersi riuscita a provare con certezza), ma, comunque, dell'attraversamento imprudente dell'incrocio da parte dell'imputato, gravato da un obbligo di arresto per il segnale di stop, e anche, più in generale, dal tenere un comportamento di ulteriore prudenza derivante dal cattivo posizionamento dello specchio e dalla strada non completamente rettilinea, che evidentemente limitavano la visibilità.

 

Secondo la Corte territoriale, la posizione dell'auto corrobora ulteriormente la tesi accusatoria.

 Rilevano, infatti, i giudici del gravame del merito, con motivazione logica che non può in questa sede essere rivalutata in punto di fatto, che la posizione del veicolo al momento dell'impatto, fermo al centro della carreggiata in posizione obliqua, secondo una diagonale che avrebbe reso impossibile lo stesso completamento della manovra di svolta a sinistra (sul punto vengono richiamate le foto 1 e 3), consente di desumere che il A. A. ha violato l'obbligo di dare la precedenza, andando a costituire un vero e proprio ostacolo nella traiettoria del motociclo che percorreva la strada principale.

 La violazione del limite di velocità (57 anziché 50 km/h) da parte del conducente della moto, che ha inciso sui tempi e la distanza di arresto dopo l'avvistamento del pericolo (costituito, appunto, dalla presenza dell'autovettura che, imprudentemente impegnato l'incrocio, si era arrestata al centro dopo aver notato la moto), viene coerentemente ritenuta causa concorrente, ma non certo esclusiva del sinistro.

  1. 4. Non va trascurato che, in imputazione, si contestano all'imputato, oltre che la violazione di norma di legge (l'art. 145 del CDS), anche profili di colpa generica.

 All'esito del giudizio rimane, quindi, una valutazione di ininfluenza in ordine alla circostanza che egli si sia o meno fermato allo STOP.

 Secondo la Corte territoriale, infatti, i dubbi espressi dal giudice di primo grado in ordine ai profili di colpa del A. A. sul momento di arresto del veicolo al segnale di STOP non possono ostacolare la valutazione della responsabilità.

 Si ritiene, infatti, che anche ove si voglia dar credito al fatto che il A. A. si sia arrestato (come sostiene la suocera che era a bordo con lui) al segnale di STOP, non pare dubbio che egli abbia impegnato l'incrocio in condizioni di grave imprudenza dato che, mancando di una visibilità profonda della strada (a causa del non corretto orientamento dello specchio parabolico), avrebbe dovuto procedere con la massima cautela.

 Peraltro, come visto, i giudici dell'appello danno anche conto della concorrente colpa del motociclista in ragione dell'elevata andatura a cui procedeva.

 Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.

 

  1. 5. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

 

Per questi motivi

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 5 novembre 2015.

 

Il Presidente: ROMIS

Il Consigliere estensore: PEZZELLA

Depositato in Cancelleria 23 novembre 2015.

Il Funzionario Giudiziario: SCHIAVONI

 

A cura Resp.Autosc.AC.MO rag.Marco Carnevali