Pubblicato il 13-09-2010

Targa prova - La mancanza a bordo di targa e di autorizzazione ha l'effetto di rendere inefficace l'autorizzazione per circolare con targa di prova, con la conseguenza che il veicolo sorpreso a circolare risponde delle violazioni come se la targa di prova per quel veicolo non esistesse. Non può infatti essere invocato l'averla dimenticata in azienda in quanto in tal modo si rischierebbe di legittimare la circolazione di più veicoli col conducente che, di volta in volta, potrebbe invocare tale giustificazione

Corte di Cassazione Civile sez. II 13/9/2010 n. 19432

 

(omissis)

FATTO E DIRITTO

La Soc. U. ha impugnato per cassazione la sentenza 27.8.04 con la quale il G.d.P. di Messina ne ha

rigettato l’opposizione proposta avverso l’ordinanza- ingiunzione n. 640/2003, emessa nei suoi

confronti il 25.8.03 dalla Prefettura di quel capoluogo, con la quale è stata irrogata la sanzione

pecuniaria di euro 1.033,00 – e contestualmente è stata disposta la confisca del veicolo Mercedes

mod. E220 telaio n. …. – per violazione degli artt. 93/VII e 193/II CdS in quanto, quale

proprietaria, aveva consentito la circolazione del detto veicolo privo di targa, di carta di circolazione

e di copertura assicurativa.

L’amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

Attivatasi procedura ex art. 375 CPC, il Procuratore Generale ha fatto pervenire requisitoria scritta

nella quale, concordando con il parere espresso nella nota di trasmissio ne, conclude chiedendo il

rigetto del ricorso.

La ricorrente non si è avvalsa della facoltà attribuitale dall’ultimo comma dell’art. 375 c.p.c.

Le considerazioni svolte nella relazione e condivise dal Procuratore Generale sono da recepire.

Con il primo motivo, la ricorrente – denunziando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 193,

181, e 213 C.d.S. in relazione all’art. 9 del Regolamento di esecuzione della legge n. 99069

(approvato con D.P.R. 24.11.1970 n. 973); nullità della sentenza e del procedimento per violazione

degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione alle suddette disposizioni – premette di aver sostenuto in

primo grado che i verbali di contravvenzione elevati nei propri confronti, oltre che del conducente,

ed i conseguenti provvedimenti di sequestro e confisca del veicolo, dovessero ritenersi palesemente

illegittimi, in quanto, nella specie, ricorrevano tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla

legislazione vigente (art. 1 del D.P.R. n. 474/2001) ai fini della configurabilità della “circolazione di

prova” ex art. 98 CdS e della conse guente non necessari età della carta di circolazione ai sensi

dell’art. 93 del CdS, infatti: il guidatore R. C. risultava essere suo dipendente; essa era titolare

dell’autorizzazione alla circolazione di prova ed in possesso della relativa targa di prova; questa era

stata prontamente esibita agli Agenti; la vettura stava percorrendo una distanza inferiore ai cento

chilometri per essere trasferita dalla filiale di Messina a quella di Catania.

Ciò posto, si duole che il giudice a quo abbia fondato il rigetto dell’opposizione alla sanzione

pecuniaria presumendo, apoditticamente ed in presenza di prova documentale contraria, il mancato

possesso della prescritta autorizzazione alla circolazione di prova, mentre “a) l’autorizzazione

ministeriale alla circolazione in prova (corrispondente alla targa di prova esibita dal conducente C.

agli Agenti di Polizia al momento della presunta infrazione), era, invece, sussistente all’epoca della

presunta infrazione, ed è stata infatti prodotta in giudizio; b) l’autorizzazione ministeriale alla

circolazione in prova avrebbe dovuto essere presunta dal possesso in capo al conducente della targa

di prova, così come prontamente esibita dal conducente C. agli Agenti di Poliz ia (circostanza

ammessa nel verbale n. 105548), in quanto tale possesso della targa di prova costituisce, per ovvi e

logici motivi, prova tangibile della sussistenza di un’autorizzazione alla circolazione di prova in

capo alla U. spa, atteso che è noto … la Motorizzazione Civile provvede ad assegnare alle

concessionarie di automobili una targa di prova per ogni autorizzazione alla circolazione in prova

rilasciata, trasferibile da veicolo a veicolo”.

Per analoghe ragioni si duole che il giudice a quo abbia r igettato l’opposizione avverso i

provvedimenti accessori di sequestro e confisca dell’autovettura, non considerando che tali sanzioni

potevano essere applicate solo in caso di contemporanea insussistenza dei tre requisiti prescritti

dall’art. 98 CdS, mentre, nella specie, detti requisiti erano tutti presenti.

Con il secondo motivo, la ricorrente – denunziando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 193,

181 e 213 CdS ed in relazione all’art. 9 del Regolamento di esecuzione della legge n. 990/69

(approvato con D.P.R. n. 973 del 24.11.1970); nullità della sentenza e del procedimento per

violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione alle suddette disposizioni – si duole che il giudice

a quo, pur essendo stata regolarmente documentata la sussistenza della copertura assicurativa per la

responsabilità civile verso i terzi inerente il veicolo in discussione, abbia presunto “apoditticamente,

e persino in presenza di prova documentale contraria, la insussistenza della necessaria copertura

assicurativa, ritenendo pertanto legittimi i verbali di contravvenzioni, anche nella parte in cui gli

stessi hanno disposto il sequestro/confisca del ve icolo, oltre che il pagamento della sanzione

amministrativa pecuniaria”.

Nessuno dei due riportati motivi – che, per connessione, possono essere trattati congiuntamente –

merita accoglimento.

Il giudice a quo ha ritenuto che l’opposizione non potesse trovare accoglimento in quanto

l’opponente non aveva provato, “né agli agenti accertatori né in corso di causa”, che la circolazione

dell’autovettura in discussione, pur priva di carta di circolazione e targa proprie, avesse, tuttavia, di

fatto avuto luogo lecitamente in virtù d’un’autorizzazione rilasciata ai sensi dell’art. 98 CdS e del

D.P.R. 474/2001.

Che tale prova fosse stata o meno fornita, non risultata agli atti del giudizio: parte ricorrente non ha

depositato il fascicolo di parte originale del giudizio svoltosi innanzi al G.d.P. di Messina,

dall’indice del quale, vistato dal cancelliere, sarebbe stato desumibile quali atti fossero stati prodotti

in quel giudizio (nessuno dei documenti allegati riporta un timbro di deposito e persino del ricorso

in opposizione è non è allegato l’originale ma una copia informe priva della relata di notificazione e

dell’attestazione di deposito); a sua volta, la cancelleria del G.d.P. di Messina, pur ripetutamente

sollecitata, non ha esitato la richiesta di trasmissione del fascicolo d’ufficio.

Ciò non di meno, pur volendosi ammettere che la documentazione oggi nel fascicolo di parte

ricorrente fosse stata prodotta nel giudizio di merito, la conclusione cui è pervenuto il G.d.P. risulta

conforme a diritto e la sentenza non va annullata, potendosene correggere la motivazione ex art.

385/IV c.p.c. nel senso non che difettasse la prova documentale dell’applicabilità al caso in esame

della deroga al disposto dell’art. 93/VII CdS posta dall’art. 98 CdS e dal D.P.R. 474/2001, ma che

di tale applicabilità difettassero, comunque, le condizioni poste da quest’ultima normativa.

La premessa in fatto dalla quale prendono le mosse l’originaria opposizione e l’odierno ricorso –

per la quale l’autovettura in questione legittimamente circolava in quanto coperta da targa-prova –

non corrisponde, infatti, alla realtà e ne è dimostrazione la constatazione che la stesa ricorrente non

sostiene che l’autovettura fosse “munita” o “dotata” di autorizzazione e targa-prova al momento del

fermo, né utilizza espressioni similari dalle quali desumere l’esistenza dell’autorizzazione a bordo

dell’autovettura o che detta targa fosse applicata al porta –targa posteriore o quanto meno si

trovasse all’interno dell’autovettura a quel momento, ma deduce solo che la targa fu “prontamente

esibita” agli agenti accertatori.

In effetti, come risulta all’esame degli atti, consentito a questa Corte in quanto chiamata ad

accertare un error in procedendo dedotto per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nel verbale n.

105548T – il cui contenuto non è stato contestato e che fa comunque prova sino alla querela di falso

(da ultimo, Cass. SS.UU. 17355/09), nella specie non proposta – è accertato che la targa prova non

era affatto applicata all’autovettura e neppure a bordo di essa, e che solo successivamente era stata

recapitata al conducente sul luogo della contestazione (donde il termine “esibita” utilizzato in

ricorso), dacché vi è precisa: “N.B. successivamente al confisco (o “contesto” o altro termine non

comprensibile – n.d.e.) il conducente telefonava e si faceva portare una targa prova ….”.

Ora, L’art. 1 del D.P.R. 24.11.01 n. 474 prescrive, al quarto comma, che l’autorizzazione alla

circolazione di prova “.. è utilizzabile per la circolazione di un solo veicolo per volta ed è tenuta a

bordo dello steso. Sul veicolo è presente il titolare dell’autorizzazione medesima o un suo

dipendente munito di apposita delega ovvero un soggetto in rapporto di collaborazione funzionale

con il titolare dell’autorizzazione, purché tale rapporto sia attestato da idonea documentazione e il

collaboratore sia munito di delega”, mentre il successivo art. 2 prescrive, al primo comma, che “Il

veicolo che circola su strada per le esigenze di cui al comma 1 dell’art. 1 espone posteriormente una

targa, trasferibile da veicolo a veicolo insieme con la relativa autorizzazione, recante una sequenza

di caratteri alfan umerici corrispondente al numero dell’autorizzazione medesima. … In tal caso di

omissione, si applicano le sanzioni previste dall’articolo 100, comma 13, del decreto legislativo 30

aprile 1992, n. 285.”.

Emerge chiaramente, dal combinato disposto normativo testé riportato, che tanto l’autorizzazione

quanto la targa ad essa relativa devono trovarsi a bordo del veicolo (e la seconda deve anche essere

esposta) ed altrettanto chiara ne è la ratio che – con il prescrivere la limitazione della circolazione

ad un solo veicolo, cui in corso di essa riferire l’autorizzazione, così impedendo che in base alla

medesima autorizzazione circolino contemporaneamente più veicoli – intende non solo regolare il

regime dell’autorizzazione ma, soprattutto, questo coordinare con quello dell’assicurazione

obbligatoria.

Poiché, infatti, tale assicurazione è stipulata in correlazione con la singola autorizzazione alla

circolazione in prova e con la relativa targa-prova, solo la presenza dell’una e dell’altra a bordo

garantiscono la copertura assicurativa del veicolo durante l’uso, in quanto tale presenza esclude che,

in virtù della medesima autorizzazione e della medesima assicurazione, che coprono l’utilizzazione

di un solo veicolo per volta, possa contemporaneamente circolare altro veicolo.

Di converso, la mancanza del documento d’autorizzazione e della targa-prova a bordo del veicolo

integra gli estremi degli illeciti di circolazione con veicolo per il quale non è stata rilasciata la carta

di circolazione – non potendosi invocare l’autorizzazione in deroga per essere questa applicabile al

solo veicolo a bordo del quale si trovi il relativo documento e posteriormente al quale sia applicata

la targa-prova – e privo della copertura assicurativa; né rileva che la detta documentazione e la

targa-prova possano trovarsi nella sede o nella residenza del soggetto autorizzato piuttosto che a

bordo d’altro veicolo contemporaneamente in circolazione, dacchè il dettato normativo contempla

un illecito formale, di pura condotta, mirando non tanto a reprimere l’abuso effettivo

dell’autorizzazione con il comminare l a sanzione in relazione ad una fattispecie nella quale esso

siasi in concreto verificato, quanto piuttosto a prevenirlo con il comminare la sanzione in relazione

ad una fattispecie nella quale esso si presenti come possibile.

Ciò istante, pienamente legittimi risultano, come già ritenuto dal giudice a quo, i provvedimento

adottati dalla Prefettura di Messina nell’applicare le sanzioni pecuniaria e della confisca comminate

dall’art. 93/VII CdS escludendo potersi applicare, nel caso di specie, la disciplina della circolazione

in prova di cui all’art. 98 CdS e D.P.R. 474/2001.

Con un terzo motivo (erroneamente rubricato ancora con il n. 2), la ricorrente – denunziando

violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto in relazione agli artt. 13 e 21 della legge

24.11.1981 n. 689 – si duole che “la Prefettura di Messina non solo ha illegittimamente considerato

il veicolo de quo privo della obbligatoria copertura assicurativa pur in assenza di idoneo

accertamento in tal senso, ed in presenza della targa di prova tempestivamente esibita, ma ha anche

illegittimamente irrogato la sanzione accessoria della confisca (sequestro) ai sensi dell’art. 213

C.d.S. in assenza totale della preventiva obbligatoria procedura amministrativa prescritta dall’art.

21, comma 1, della legge n. 689/81 citata.”

Il motivo non merita accoglimento.

Anzi tutto, per sua inammissibilità, in quanto non contiene censure alla sentenza impugnata, ma

solo all’operato della Prefettura di Messina, ed in quanto, comunque, la questione, alla lettura della

stessa sentenza impugnata, non censurata ex artt. 112 e 360 n. 4 c.p.c. per omessa pronunzia sul

punto, non risulta dedotta nel giudizio di merito onde non può esserlo in quello di legittimità.

In secondo luogo, per manifesta infondatezza, in quanto la confisca risulta disposta ai sensi dell’art.

93/VII CdS per l’uso del veicolo senza carta di circolazione e targa proibita, fattispecie che non

prevede sanatorie di sorta, e non per la mancanza della copertura assicurativa ai sensi dell’art. 193

CdS e disposizioni richiamatevi.

Con un quarto motivo, rubricato sub n. 3, la ricorrente denunzia, in fine, la nullità della sentenza per

omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, giacché

“Nel motivare la sentenza de quo* il Giudice di Pace di Messina ha rigettando* il ricorso proposto

dalla U. spa facendo esclusivo riferimento al verbale n. 105548, senza fare menzione, né motivare il

rigetto del ricorso con riferimento alla ritenuta illegittimità del verbale n. 105549” (*: gli errori sono

nel teso, n.d.e.).

Il motivo non merita accoglimento.

Come per il motivo precedente, neppure in questo caso dalla sentenza impugnata risulta che

l’opposizione avesse avuto ad oggetto, oltre all’ordinanza- ingiunzione prot. n. 640/2003, anche

altro provvedimento prefettizio.

Del pari, dunque, onde evitare una pronunzia d’inammissibilità del motivo per novità della

questione avrebbe dovuto la ricorrente anzi tutto idoneamente censurare la sentenza per omessa

pronunzia; il che non ha fatto.

Come ripetutamente evidenziato da questa Corte, infatti, l’omessa pronunzia, quale vizio della

sentenza, dev’esser fatta valere dal ricorrente per cassazione esclusivamente attraverso la deduzione

del relativo errori in procedendo e della violazione degli artt. 112 e 360 n. 4 c.p.c., non già con la

denunzia della violazione di norme di diritto sostanziale ex art. 360 n. 3 c.p.c. ovvero del vizio di

motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., in quanto tali ultime censure presuppongono che il giudice di

merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo

giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare, o non giustificando adeguatamente, la

decisione al riguardo resa; d’altra parte, solo la corretta deduzione della doglianza ex artt. 112 e 360

n. 4 c.p.c., trattandosi di violazione di una norma processuale, pu&o grave; consentire al giudice di

legittimità l’esame degli atti del giudizio al fine di ver ificare la effettiva deduzione nel giudizio di

merito della questione la cui mancata considerazione da parte del giduice è dotta come motivo di

gravame nel ricorso per cassazione (Cass. 7.7.04 n. 12475, 14.2.06 n. 3190, 4.6.07 n. 12952).

Perché, poi, possa dirsi utilmente dedotto in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai

sensi degli artt. 112 e 360 n. 4 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito fossero state

rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed

inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si fosse resa necessaria ed ineludibile,

e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente – nei loro esatti termini e non

genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto – nel ricorso per cassazione, con

l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra

erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, “in primis”, la ritualità e la

tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi; ove, infatti, si deduca

la violazione, nel giudizio di merito, delle citate norme processuali, riconducibile alla

prospettazione di un’ipotesi di error in procedendo per il quale la Corte di Cassazione è giudice

anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre

che il potere dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia

condizionato, a pena d’inammissibilità, all’adempimento da parte dl ricorrente, per il principio

d’autosufficienza del ricorso per cassazione, che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem

agli atti della fase di merito, dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il

suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca ma solo ad una verifica degli stessi (…).

Di tutto ciò non è traccia nel motivo in esame.

In definitiva, nessuno degli esaminati motivi meritano accoglimento, il ricorso va, dunque, respinto.

Parte intimata non avendo svolto attività difensiva, la ricorrente evita le conseguenze della

soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso.

(omissis)